domenica 12 luglio 2009

IL G8? LA FIERA DELLE PROMESSE

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(da "Sinistra e Libertà.it")

"Mentre i paesi più industrializzati cercano di curare le profonde ferite inferte da una crisi economico-finanziaria senza precedenti, l’Africa attende un segnale.

La crisi economica di questi mesi, non passerà indolore. Se è giusto non farsi prendere dal panico e mettere in evidenza la capacità di reazione di (alcuni) paesi industrializzati; non si deve però esagerare nella politica dello struzzo e nascondere la testa davanti ai problemi quotidiani.

Ancora una volta, saranno i più deboli a stringere la cinghia. Non che sia una novità, ma almeno che lo si dica. Questa crisi ha radici chiare, nell’avidità di mercati sempre più globali e globalmente ingordi.

La finanza internazionale non ha sede, né volto, sfugge ad ogni personificazione, ma soprattutto non ha più responsabilità (almeno questo crede) nei confronti degli individui e dei popoli. Chi manovra le leve dello sfruttamento globale e dell’economia virtuale è in grado di influenzare non solo l’agenda politica dei singoli stati, ma la stessa geo-politica delle relazioni internazionali.

Le dodici regole per correggere i mali che tutti abbiamo negativamente sperimentato serviranno a promuovere il cambiamento? Noi lo speriamo!

Per l’ambiente, per decenni oggetto di campagne contrapposte tra ottimisti e pessimisti, catastrofisti e possibilisti, è stato concordato un appello che sottolinea l’urgenza ecologica (Quali scadenze? Quali risorse? Quali priorità? Quali alleanze concrete?); La questione della povertà (che si concentra in particolare sulla condizione di miseria dell’Africa sub-sahariana ma riguarda oltre un miliardo di persone), periodicamente si ripropone. A chi interessa davvero, in questo G8, del destino dell’Africa? Neppure ai media, tutti alla ricerca di rassicurazioni sulla fine della crisi economica e sulle nuove regole in grado di garantire l’affidabilità dei mercati. L’Africa è ancora una questione marginale, salvo farne la bandiera delle buone intenzioni.

Sorprende, davvero, la scarsa lungimiranza dei governi. Si parla di rischio ambientale entro il 2020 e si propongono piani d’intervento per il 2050. Si parla di fame e povertà oggi, di mancato rispetto degli impegni sottoscritti e ripetutamente confermati, e si discute di una crescita degli aiuti assolutamente "virtuale", che prevede entro il 2010 (cioè fra 6/12 mesi) il recupero di ciò che non è stato fatto (ma documentabilmente promesso) negli ultimi 5 anni. Peccato che non si dica come, quando, con che risorse. Non c'è fino ad oggi, nei documenti ufficiali, neppure l'impegno - già annunciato pubblicamente - a recuperare risorse significative dalla DETAX, ovvero dalle accise degli stati. Un centesimo qua, un centesimo là, fino a costituire il grande salvadanaio. Neppure quello. La proposta, che era già diventata il contributo italiano alla soluzione dei problemi del sottosviluppo, adesso si declina più o meno cosi: "Favoriremo (noi governi del G8) un coinvolgimento globale del settore privato e della nostra società civile per rafforzare le capacità produttive commerciali nei paesi in via di sviluppo". In altre parti, si cita (ma sono sempre poche righe) l’approccio dei "sistemi paese" ("whole of country" approach), dicendo, più o meno letteralmente, che "si valuteranno la fattibilità e la rilevanza di questo nuovo strumento di intervento, destinato a raccogliere le risorse di tutti gli attori, del settore pubblico, privato, della società civile, per massimizzare gli effetti e l’impatto degli aiuti". Come? Quando? Con che obiettivi di mobilitazione delle risorse? Con quali priorità? Ma soprattutto: Riducendo o aumentando l’impegno dei governi? Coordinando e definendo ruoli e regole o lasciando alla concorrenza del libero mercato l’autoregolamentazione delle responsabilità e della partecipazione? Perché questo è il problema.

Si dovrà garantire, nell’ipotesi di un ampio coinvolgimento dei sistemi produttivi, un equilibrio fra il desiderato raggiungimento di uno sviluppo equo e sostenibile dei beneficiari e la tensione al massimo profitto delle imprese.

Fare economia, creare mercati, non significa moltiplicare all’infinito i margini del profitto; significa semmai far crescere società più articolate e complesse, in grado di misurarsi responsabilmente con nuovi consumi e l’impatto di ricchezze per lungo tempo inaccessibili.

Chi si offre di governare, realisticamente, questi processi? La risposta, su cui ci permettiamo di dubitare, cita così: "Chiediamo all’OCDE di ragionare-elaborare ulteriormente questi innovativi concetti, e di renderne conto nel corso dei prossimi appuntamenti previsti per il 2010″. Quando, molto probabilmente, il G8 sarà definitivamente dichiarato superato."

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